Riflessioni dopo la giornata contro l’omobitransfobia

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di Alessandra Di Cataldo

Quest’anno più che mai la giornata contro l’omobitransfobia deve farci riflettere sia sull’uso arbitrario che della difesa dei diritti della comunità LGBTQIA+ che viene fatto dal punto di vista politico, sia sull’inesistenza di tutele effettive.

L’avvicinarsi del Pride Month deve prepararci ad un rainbow washing asservito alla logica di mercato e della competitività, dove il simbolo di una comunità intera viene usurpato per diventare l’ennesimo espediente di un capitalismo che non si fa scrupoli nemmeno davanti alla lotta per i diritti civili.

Non può essere un misero contentino di mercato a farci dimenticare l’oscenità a cui abbiamo assistito in Senato con l’affossamento del DDL Zan, né una strumentalizzazione di una giornata e di un mese che portano con sé istanze fondamentali in un Paese civile, che rappresentano persone e famiglie non riconosciute, discriminate, oggetto di pregiudizi infondati e di indecente propaganda politica.

Non solo i dati di Gay Help Line evidenziano quanto la pandemia abbia contribuito ad aumentare dall’11% al 28% i casi di minacce, e dal 3% al 15% quelli di mobbing, ma deve allarmarci che il 60% del bacino d’utenza di questa linea di emergenza abbia dai 13 ai 27 anni.

Questi numeri non possono e non devono lasciare indifferenti, ma piuttosto spingerci a lottare affinché si parta dall’educazione e dall’istruzione: è drammatico che le agenzie di socializzazione famiglia e scuola siano le prime fonti di discriminazione ed emarginazione tra pari. Specie la scuola, che dovrebbero farsi promotrice di un’educazione affettiva e sessuale che miri alla totale e concreta inclusione di tutt*, rivela avere un retaggio fortemente patriarcale e ciseteronormativo, persino nei pochissimi eventi di “prevenzione” che vengono organizzati all’interno delle scuole: nessun riferimento ad omosessualità, transessualità, intersessualità o identità di genere, ormai resa oggetto di miti come la “Teoria Gender”, di cui si serve una classe politica omofoba, disinformata e noncurante di nulla se non dell’accrescimento del consenso di un elettorato che necessita di capri espiatori.

L’evidente mancanza di formazione su queste tematiche è alla base di un 70% di persone trans, le prime che si è cercato di tagliare fuori dal DDL Zan, che non riceve più supporto psichico, affettivo ed economico da parte del contesto familiare dopo il coming out.

Ignoranza, qualunquismo e mancanza di formazione sia in ambito scolastico che lavorativo ci tengono ancorati ad una condizione di arretratezza davanti alla quale, come Giovani Comunisti, non intendiamo né chiudere gli occhi, né tacere, né restare inerti: lottare si può e si deve.

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