Istituto liberale e il solito revisionismo storico

Mussolini_visiting_Fiat,_1932

di Vittorio Savini (GC Milano) e Edoardo Casati (GC Pavia)

Ieri sera siamo incappati nell’ennesimo post di Istituto Liberale, pagina del panorama social del centro-destra dedita alla propaganda spicciola a favore del peggior liberismo. Oggetto dell’ultimo post la solita favola per il quale il fascismo trae le sue basi dal socialismo, riportiamo qui di seguito l’immagine ed il testo diffusi.

“Il fascismo non è semplicemente il fascio littorio, “Faccetta Nera” ed i cortei di alcuni nostalgici e teste calde. Il fascismo è innanzitutto un modo di pensare, una precisa visione del mondo, spesso condivisa anche da persone che non indossano la camicia nera.

Alla base di tutto vi è il collettivismo. Secondo la mentalità fascista, l’individuo in sé per sé non ha alcun valore, è solo una cellula del grande organismo dello Stato. Dal momento che solo lo Stato pensa, solo lo Stato ragiona, solo lo Stato agisce, i singoli cittadini devono limitarsi ad essere strumenti della sua volontà.

Il collettivismo fornisce la base culturale e la giustificazione morale per il totalitarismo e per il nazionalismo: se il singolo individuo non conta, allora non servono leggi che lo proteggano dallo Stato, né servono leggi per limitare il potere statale. Se la volontà dello Stato è il bene superiore, allora non è solo giustificabile, ma perfino moralmente doveroso imporre tale volontà anche a coloro che vivono al di fuori dei confini nazionali.

Nessun totalitarismo, però, può sopravvivere in presenza di libero mercato. Solo in un regime ad economia pianificata, dove lo Stato è l’unico datore di lavoro, qualsiasi forma di protesta diventa impossibile. Quando i salari e addirittura i prezzi sono decisi a tavolino da un gruppo di burocrati, i singoli cittadini non hanno potere.

Per reprimere il malcontento, uno Stato guidato da una mentalità fascista gioca spesso ad essere “amico” dei lavoratori. Lo ha fatto ieri il PNF creando le corporazioni, lo fanno oggi quei politici e quei sindacalisti che, senza aver mai lavorato nella vita, si fingono vicini ai lavoratori ed alle loro esigenze, ma che nel frattempo propongono misure che disincentivano il lavoro e premiano l’assistenzialismo.

Infine, il segno più evidente della mentalità fascista è l’adorazione verso un “capo”. Salvini è un capo, così come lo sono anche Trump, Sanders, Orbán o Mélenchon. Nessuno di loro è un fascista nel senso comune del termine, ma tutti tendono a circondarsi di sostenitori acritici ed a disprezzare quei meccanismi costituzionali che impediscono loro di governare con pieni poteri, grazie all’approvazione della maggioranza.

Chi può contrastare la mentalità fascista? Non lo Stato con gli strumenti della censura e delle leggi speciali (che così facilmente possono essere corrotti), bensì i singoli cittadini, con una forte propaganda pro-libertà.”

Dinanzi a questo post diramato dai profili social di “Istituto Liberale” non possiamo che provare rabbia.

Ancora una volta, quando si parla di storia, il revisionismo è all’ordine del giorno.

Rileviamo nel testo, più di un errore di carattere storico-politico ma, abbiamo deciso di soffermarci principalmente su uno.

Il secondo punto sulla colonna destra recita testuali parole: “Nel fascismo tra sindacalisti e burocrati si creano regole rigide per ‘proteggere i lavoratori’ rallentando la creazione di benessere”

Inutile dire che queste parole sono dettate da una ignoranza di carattere storico-politico.

L’idea che si vuole far passare è che i sindacati e la burocrazia siano un modo per rallentare la produzione di benessere, addirittura si lascia filtrare l’idea che i sindacati siano delle organizzazioni inutili, che il tentativo di far valere i diritti dei lavoratori sia solo un modo per mettere “i bastoni tra le ruote” alle aziende.

Ci viene spesso raccontato che le aziende e i loro dirigenti non abbiano come obbiettivo l’accumulo di denaro, bensì la produzione di benessere sociale; alcuni testi di economia aziendale azzardano addirittura nel dire che l’azienda sia l’intermediario tra il singolo e lo stato.

Non so se siano così d’accordo gli operai nelle catene di montaggio costretti a pesanti turni, salari bassi e poche garanzie e non credo percepiscano questo benessere tutti i lavoratori licenziati senza giusta causa, semplicemente perché denunciavano le condizioni in cui si trovavano a lavorare.

Anche grazie alle riforme del governo Renzi, i sindacati e il diritto sindacale sono stati calpestati e messi da parte.

A sostenere ciò sono coloro che vorrebbero che le aziende possano agire indisturbatamente, senza controlli da parte dello stato, in maniera non etica e pensando principalmente al proprio profitto.

Criticabile è anche l’associazione fatta tra sindacalismo e fascismo, una vera e propria riscrittura della storia.

Durante il ventennio fascista, in Italia, i sindacati furono aboliti, lo stesso accadde in Germania sotto Hitler e la Spagna franchista dove fu consentito solo alle organizzazioni di stampo nazista di esistere.

Una cosa molto simile accadde negli Stati Uniti, che i liberali continuano a dipingere come “il paese della libertà”, dove negli anni ‘10-’20 in molti stati l’attività sindacale fu criminalizzata, addirittura in California la situazione rimase tale fino al 1991 (si tratta del California Criminal Syndacalism Act).

Questo post ha inoltre come secondo fine una meschina riscrittura della storia: sostenere che il fascismo sia “di sinistra”.

Non a caso sono scelti termini come collettivismo, diritti dei lavoratori e sindacati, termini notoriamente associati al socialismo, con l’obbiettivo appunto di dimostrare un’equiparazione tra fascismo e comunismo.

A queste persone, che si difendono con la scusa che Mussolini si formò nel Partito Socialista Italiano, conviene ricordare come nacque il fascismo: nel 1919 nella piazza San Sepolcro a Milano con i Fasci Italiani di Combattimento.

Quel primo fascismo era si repubblicano e anticlericale, ma si poneva come obbiettivo immediato le rivendicazioni irredentiste e la contrapposizione (realizzatasi tramite lo squadrismo) ai comunisti e ai socialisti, collocandosi nella ricerca di una terza via molto confusa.

Il fascismo non è socialista, il fascismo è stato opportunista, poi liberale ed infine autoritario, conservatore e nazionalista.

Negli anni ‘30 la Germania nazista perpetrò una massiccia privatizzazione, abolendo la piccola e media impresa in favore della formazione di cartelli industriali in mano a privati collaboranti con lo stato, lo stesso accadde in Italia durante il fascismo e il Generalissimo Franco nel 1953 reintrodusse il mercato libero e cominciò una serie di liberalizzazioni.

Alla luce di ciò la verità è lampante: il fascismo non è socialista, il fascismo al potere ha sempre favorito in realtà i ricchi industriali capitalisti e l’aristocrazia borghese, proprio ciò che il comunismo e il socialismo si prefiggono di sconfiggere.

Il fascismo, come il liberismo, è nemico dei lavoratori e del loro diritto di dissenso.

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