Giustizia per i riders! Tra caporalato e contratti-pirata

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di Vittorio Savini (GC Milano)

“Una condizione inaccettabile che richiama a una riflessione collettiva sulle generali condizioni di lavoro, a partire dal tema dei diritti dei ciclofattorini, tra i quali la sicurezza e un compenso dignitoso, così come noi chiediamo da tempo” queste le parole di Tania Scacchetti, segretaria confederale della CGIL riguardo alla questione Uber Italy.

Dieci dirigenti della filiale italiana del colosso statunitense infatti sono stati accusati di caporalato dopo la chiusura delle indagini della procura di Milano dalle quali è emerso, a detta del sostituto procuratore Paolo Storari, che i riders venivano pagati 3 euro l’ora, depauperati delle ritenute d’acconto che venivano operate ma non versate, derubati delle mance, minacciati con malus al compenso e sottoposti a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale.

Gloria Bresciani, manager di Uber Italy, dice al telefono “Abbiamo creato un sistema per disperati… ma i panni sporchi si lavano in casa”. Oltre a personaggi di rilievo dell’azienda figurano anche Danilo Donnini e Giuseppe e Leonardo Moltini, amministratori di Flash Road City Srl e Frc Srl, società di ricerca del personale che, oltre ad evadere il fisco per 315 mila euro, approfittavano di migranti richiedenti asilo, in condizioni di vulnerabilità e di isolamento destinandoli ad Uber.

Per il 22 ottobre è prevista l’udienza davanti alla sezione autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale per discutere del provvedimento di commissariamento.

Tuttavia la situazione critica dei bikers è tutt’altro che risolta: la stessa Uber, assieme a Glovo e Deliveroo, stanno inviando una mail a tutti i lavoratori del settore minacciando licenziamenti se non firmeranno entro il 2 novembre un contratto che condanna al lavoro a cottimo e rendendo i ciclofattorini lavoratori autonomi.

Nonostante le movimentazione di diversi sindacati e associazioni, nonostante il ministero del Lavoro abbia valutato il contratto come potenzialmente illegittimo e nonostante la legge prevede la paga oraria di 10 euro lordi e la Cassazione riconosca i riders come lavoratori subordinati le aziende colpevoli, Assodelivery e il sindacato di destra UGL (sottoscriventi il contratto) non sembrano voler fare marcia indietro, forti anche della “rivoluzione” auspicata dal numero uno di Confindustria Bonomi.

I media di massa, in tutto questo, si dimostrano vergognosi: sempre pronti a narrare i battibecchi dei due schieramenti politici in parlamento o a dare spazio al più infimo gossip, ma mai un servizio in cui si parli delle condizioni in cui queste persone sono costrette a lavorare o in cui si facciano nomi e cognomi dei colpevoli.

Serve più visibilità sulle condizioni di questi “invisibili”, più controlli sui posti di lavoro e più tutele per chi lavora e serve una cosciente analisi su come il confine tra classismo e razzismo sia sottile.

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